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"(E)vento di terra: che obbrobrio! Un autentico insulto a Licini"

Fermo | "Papere da recita parrocchiale, prestazione piatta di Marcorè, riferimenti letterari inconsistenti, immagini fuori luogo: si dovrebbe chiedere il rimborso del biglietto"

di Cesare Catà *


Chi martedì sera, 25 aprile, si è recato al glorioso Teatro dell’Aquila di Fermo per assistere allo spettacolo “(E)vento di terra”, dedicato alla figura di Osvaldo Licini, ha assistito, al prezzo di otto euro, a uno spettacolo che non posso non definire obbrobrioso. Un dilettantismo offensivo per il pubblico ha pervaso quello che avrebbe dovuto essere un evento teatrale per narrare la straordinaria figura culturale di uno dei pittori più importanti dell’Europa contemporanea, e forse l’intellettuale più interessante del ‘900 nella Marca di Fermo: Osvaldo Licini. Clamorose e davvero irritanti le continue papere da recita parrocchiale che i tre pseudoattori anziani tiravano in faccia a un pubblico in attesa vana, per due ore, di sentir parlare di Licini. Sembravano gettati sul palco da una mente perversa contro la natura del teatro. Il pubblico di Fermo rumoreggiava il suo ovvio dissenso, sentendosi menato per il naso al prezzo del biglietto.

Ma, ancor più grave, l’orrenda prestazione di Marcorè. Incapace di trasmettere una qualsivoglia emozione recitando, è stato persino incapace di leggere con senso i testi delle fantastiche lettere liciniane. Senza dubbio bravo nel fare le imitazioni dei ministri dei governi di centro-destra, Marcorè è sicuramente inetto a rappresentare Licini. Sembrava (e lo spero per lui sia così) che avesse visto il copione per la prima volta cinque minuti prima dell’inizio. Per fare Licini, occorrerebbero passionalità, professionalità, studio, attenzione, cura, capacità, genio. Tutte cose lontane anni luce dalla messa in scena offensiva di martedì. Dov’era Licini? L’impressione generale era che nulla c’entrasse con nulla, e che nulla centrasse, neanche lontanamente, Osvaldo Licini.

Le musiche di Allevi, certo ben scritte e ben eseguite, non avevano alcun legame con il nostro Pittore. Da chiedersi se Allevi le abbia composte – oppure fornite – per l’occasione. Le immagini di Pericoli erano del tutto fuori luogo: una collina di traverso, e addirittura una foto di se stesso, per dare bella mostra – ma chi voleva vederlo? – di sé. Dov’era Licini? Le citazioni da altri autori (Scipione, Kavafis), “buttate là”, erano del tutto arbitrarie, estranee alle vere letture amate da Licini. Le parole al contorno, di Davoli, erano di una banalità vomitevole, come l’arbitrarietà delle citazioni scelte (tralasciando l’agghiacciante accostamento fra autori come Borges, Yourcenar, Scipione e poi…Davoli).

Si è insistito su una “picenità” presunta di Licini, che nulla ha a che fare con la sua opera pittorica, la quale davvero incarna il “glocale” (e sia detto fra le righe che Montevidon Corrado appartiene non al Piceno, ma alla nostra Marca di Fermo). Licini è una figura sacra del nostro territorio e della nostra cultura. Martedì abbiamo assistito a un blasfemo dilettantismo, inettitudine dissacratoria. Quello che si potrebbe fare con il materiale della sua vita e della sua opera, per narrarlo al mondo attraverso teatro o cinema, è davvero eccezionale, e non può ridursi a un dilettantismo pseudoteatrale da parrocchia, quale quello che ieri sulla scena hanno incarnato Marcorè e “compagni”.

A fine spettacolo, l’istinto era quello di chiedere il rimborso di otto euro dalla truffa del biglietto, detraendolo dal compenso – si immagina non proprio contenuto – dell’ “attore” Marcorè. Per ricordare Osvaldo Licini, comprendere il significato della sua opera, il valore culturale e umano della sua arte, dimentichiamoci in fretta di quello che la messa in scena di martedì nella nostra Fermo ci ha fatto vedere. L’Assessorato alla Cultura Provincia di Ascoli chieda scusa agli abitanti di Fermo, agli appassionati di Osvaldo Licini, agli amanti della cultura e del nostro territorio. Perché tutti ci sentiamo offesi. Offesi nell’intimo, nell’intelligenza e nel cuore, dove teniamo Osvaldo Licini. Lui stavolta, assai più violento e diretto di me, meno formale, avrebbe detto, come spesso faceva citando Rimbaud, semplicemente: merde!

**filosofo e autore teatrale, coordinatore del Laboratorio di poesia della Marca, dottorando in Filosofia all'Università di Macerata

26/04/2006





        
  



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