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la tappa passò senza scosse per la classifica

| Ha vinto il colombiano La Verde

di Renato Novelli


Il gruppo è arrivato al traguardo con un ritardo di quasi 8 minuti. Una volta tappe di questo genere si chiamavano di trasferimento. Ma la tranquillità riguarda solo gli uomini di classifica. Il Giro vive anche di realtà sovrapposte.

Lungo il percorso ci sono traguardi parziali, che vengono lasciati ai gregari, ma sono studiati dalle squadre perché i piccoli premi parziali si dividono. Nel Giro del 1968, apparve la stella di Merckx. Aveva già vinto la Milano – Sanremo ed altre corse importanti. L’anno prima nella prima parte del Giro era andato bene. Sul Block House nella stessa salita della Maielletta, dove Basso ha vinto e ipotecato la vittoria finale, Merckx aveva staccato, anche se di pochi secondi, i big italiani, Gimondi, Motta, Balmanion, Adorni. Poi era crollato sulle Alpi. Gli esperti dicevano che i belgi sono deboli sulle salite e non sono uomini da corse a tappe. Campioni si, ma solo per le corse di un giorno. Merckx iniziò il Giro come un treno. La sua squadra, la Faema dominava.

C’era anche Adorni. Si diceva che il belga fosse un marziano. Da maglia rosa non disdegnava le tappe (ne vinse 8) e qualche volta faceva anche le volate intermedie dove si vincevano prosciutti e dolciumi. Stava nascendo un ciclismo nuovo, delle squadre collettive con un grande campione, che non solo vinceva il Giro, ma riforniva i compagni di vittorie parziali a tutti i livelli. Lo spirito collettivo si rafforzava. Tutti per uno, uno per tutti, come avevano detto secoli prima i moschettieri di Dumas. Anche oggi la tappa è pianeggiante.

L’ultima chance per i velocisti, prima dei 5 giorni delle montagne. L’anima collettiva del Giro pensa già al Monte Bondone, alla cima San Pellegrino. L’anima collettiva non è una somma di individui, ma una specie di inconscio collettivo alla Jung, che si sfila per le strade lungo il gruppo di giorno, circola nei tavoli durante la cena, sommessamente entra nelle stanze da letto. L’anima decreta chi vincerà, con un buon margine di precisione.

Noi pensiamo che Cunego attaccherà sui monti, l’anima sa già se questa attesa è verosimile o no. Una volta, nel 1979, l’anima fu ufficialmente consultata. Ai piedi della timida salita di San Marino, la carovana dei corridori fu chiamata votare il nome di chi avrebbe vinto il Giro. Era l’anno della nascita ufficiale della rivalità più spigolosa che abbia attraversato il ciclismo italiano, quella tra Moser e Saronni. La maggioranza dei partenti votò Saronni e così fu.

La tappa di oggi finisce a Brescia e passa per la Ghiara d’Adda, transita per Trezzo e per le strade dei castelli viscontei e sforzeschi sparsi in questa area. A Trezzo c’è un palazzo severo. Ora all’interno c’è un circolo Arci dove molti anziani giocano a carte. Un tempo quel palazzo fu la residenza del nobiluomo che Manzoni ha ribattezzato l’Innominato. Fu un prepotente, come ce ne erano tanti, ma si convertì in tarda età alla mansuetudine dei cristiani veri. Brescia è una delle città del ciclismo. Lo sport delle due ruote è molto praticato. Bresciano era Michele Dancelli, un corridore forte e simpatico che nel 1968 riuscì a rompere la maledizione di Sanremo.

Su quel prestigioso traguardo primaverile, nessun corridore italiano vinceva più dal 1954. La corsa sembrava stregata. Dancelli la vinse in solitario. La TV era ancora in bianco e nero. Dancelli correva per la Vittadello (ramo tessile) che aveva una maglia marrone e nera. I corridori non erano ancora cosparsi di scritte pubblicitarie dal petto ai glutei. Il Giro era bello come lo è ancora oggi.

22/05/2006





        
  



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